Le intolleranze alimentari
14 Dicembre 2007Le intolleranze alimentari costituiscono un’entità morbosa non ancora del tutto accettata dalla medicina classica accademica, anche se ampiamente studiata e documentata dalla Letteratura scientifica internazionale. Le interazioni tra cibo ed organismo sono di interessante attualità; si stima che oggi siano intolleranti non meno del 30 % degli individui, e questi dati sono in crescente aumento, favoriti dal sempre maggior utilizzo di nutrienti “inquinati” da metalli tossici, trattati chimicamente e impoveriti da sistemi di cottura non idonei, che favoriscono la disbiosi intestinale, considerata una delle condizioni più frequentemente implicate nella genesi delle ipersensibilità alimentari.
Gli alimenti possono produrre fondamentalmente due tipi di reazioni: le reazioni allergiche classiche, che rientrano tra le ipersensibilità immediate e sono generalmente dose-indipendenti, e le reazioni da intolleranza alimentare (di cui ci occupiamo in questo articolo), non IgE mediate, spesso dose-dipendenti, in cui il maggior carico alimentare del cibo in questione favorisce la reattività individuale.
Dagli atti del 2° congresso S.E.N.B. (Hermann G.F., Le intolleranze alimentari- Suppl. al N° 3/2000, La Med. Biol., pagg3-7) emergono alcune interessanti ipotesi, che individuano nelle intolleranze alimentari una manifestazione biochimica i cui sintomi si attenuano, fino a scomparire, con il regime controllato dei cibi in questione; in questo processo di miglioramento clinico assume un ruolo fondamentale la funzione del sistema linfatico associato alla mucosa intestinale ( il cosiddetto MALT), spesso compromesso nei soggetti con positività marcate ai vari test diagnostici.
I quadri clinici espressi sono molto vari; secondo alcuni Autori le intolleranze alimentari possono essere presenti nell’eziologia di ogni malattia. Astenia, iperattività, dermatiti, gonfiori e tensioni addominali, stipsi e diarrea, cefalee ed emicranie, sinusiti, cistiti, insonnia sono solo alcuni dei sintomi più riscontrati nell’esperienza clinica. Molto interessante appare lo studio iniziato fin dal 1995 sull’influenza che gli alimenti intolleranti possono avere sul sovrappeso e l’obesità; pur non dimenticando che il problema dell’incremento ponderale è dipendente anche dalla quantità del cibo introdotto, è possibile valutare il paziente in sovrappeso attraverso l’integrità del proprio biotipo, controllando l’introduzione dei cibi risultati sensibili, e ottenendo un calo ponderale fisiologico senza diete ipocaloriche, normalmente rigide e scandite da orari e grammature. L’efficacia di una dieta non si deve valutare dal peso perduto, ma dalla riduzione della possibilità di un nuovo aumento della massa grassa: se non si controllano gli agenti stressogeni (come gli alimenti ipersensibili) e la individualità biologica del paziente in sovrappeso, la dieta è destinata al fallimento.
Per la valutazione delle intolleranze alimentari vi sono metodiche di laboratorio (come il Citotest e l’Alitest) e metodiche dinamiche, sicuramente più interessanti, in quanto consentono la valutazione immediata delle risposte sul paziente, e forniscono dati oggettivi e ripetibili. Tra queste metodologie vi sono test chinesiologici, come il test che si esegue presso i centri Nutrifood (Nutritest), e test bioenergetici, come l’EAV e il VEGA.
Una volta individuate le reattività personali, è necessario impostare un programma nutrizionale adeguato; noi di Nutrifood suggeriamo di organizzare una condotta di recupero che non preveda l’esclusione completa delle sostanze risultate intolleranti (a meno che non coesistano fenomeni allergologici individuali o altri fatti specifici) ma l’impostazione di un regime alimentare che alterni periodi di libertà a periodi di astensione, al fine di favorire il recupero della tolleranza ai cibi risultati positivi al test svolto.
Staff Nutrifood.