Obesità viscerale e coronaropatie

16 Giugno 2011 By Paolo Palmas
L’associazione tra indice di massa corporea (BMI) e morbilità è un indicatore spesso utilizzato per la valutazione del profilo di rischio nella popolazione generale, soprattutto di quello cardiovascolare, anche se in realtà la correlazione sembrerebbe essere più complessa.
Nutrigroup ha già documentato che vi sono indicatori più attendibili per la stima del rischio coronarico, tra questi soprattutto la valutazione ematica del rapporto tra acido arachidonico (un acido grasso della serie omega 6) ed EPA (un acido grasso a lunga catena della serie omega 3). Un altro indicatore di estrema importanza è il rapporto tra la concentrazione plasmatica di trigliceridi e la quota di colesterolo buono HDL; quest’ultimo rapporto non dovrebbe superare 1,5. In questa direzione è facilmente intuibile che un incremento della quota di trigliceridi attraverso una condotta alimentare non corretta, caratterizzata da un elevato apporto grassi saturi o cibi ad alto impatto glicemico, aumenta il profilo di rischio cardiovascolare.
Anche la circonferenza addominale, relativa al grasso viscerale (e non sottocutaneo), rientra tra i parametri di valutazione di questo rischio; un recente studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology (J Am Coll Cardiol, 2011 May 10; 57(19):1877-1886) ha evidenziato che dall’osservazione di 15923 soggetti seguiti per un periodo mediano di 2,3 anni il tasso di mortalità in pazienti coronaropatici si è dimostrato associato direttamente al grado di obesità centrale ed inversamente all’indice di massa corporea (come abbiamo visto il BMI non tiene conto di tante variabili, e non può quindi essere considerato un indicatore attendibile).
In conclusione, pur essendo l’obesità viscerale un buon predittore di mortalità coronarica, è opportuna la valutazione di altri indicatori; la dieta riveste senz’altro un ruolo determinante, soprattutto nel controllo dei segnali ormonali che il tessuto adiposo viscerale rilascia in circolo. La produzione anormale di adipocitochine nel tessuto adiposo sembra infatti avere implicazioni dirette nello sviluppo della sindrome metabolica, considerata una delle patologie strettamente associate all’aumento del rischio cardiovascolare.
Staff Nutrigroup