Ageotypes, rallentare l’invecchiamento si può
29 Marzo 2020L’invecchiamento è un processo ineluttabile che fa parte della vita, e che in qualche misura bisogna accettare, ma è altrettanto vero che il ritmo con cui si invecchia e con cui occorre fare i conti con le patologie età-correlate varia molto da individuo a individuo.
Nutrigroup sostiene da tempo nei suoi centri programmi di educazione alimentare volti al controllo dell’infiammazione da cibo, oggi il vero obiettivo da perseguire al fine di migliorare gli effetti epigenetici individuali e aumentare considerevolmente non soltanto il numero di anni di vita, ma soprattutto il numero di anni di vita in salute. In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, l’emergenza del Covid-19 ha di fatto messo a nudo le fragilità di una popolazione anziana polimedicalizzata e dunque più esposta alle complicanze respiratorie indotte dal SARS-CoV 2. Al netto del Coronavirus però, l’adozione di modelli comportamentali più attenti fin dalla giovane età (e ancor di più nel corso della vita) permette di migliorare l’efficienza biologica del “sistema corpo” e potenziarne le difese intrinseche.
Ma cosa succede ad un individuo mentre passano gli anni? Studiando una stessa persona in dettaglio nel tempo (cosa mai fatta prima d’ora), i ricercatori della Stanford University in un recente lavoro (Nat Med. 2020 Jan;26(1):83-90) condotto su 106 persone sane, uomini e donne di età compresa tra 29 e 75 anni, osservando come mutassero nel tempo i livelli di specifici marcatori biologici utilizzati per lo studio (proteine, lipidi, citochine, metaboliti, fattori di trascrizione, batteri) hanno dimostrato che ogni persona aderisce ad un modello biologico di invecchiamento detto “ageotype”. I profili attraverso cui si “sfiorisce” sono essenzialmente 4, ma possono anche coesistere: metabolico, immunitario, epatico e nefrotico.
Le persone con ageotype metabolico, per esempio, hanno più probabilità di ammalarsi di diabete o malattie cardiometaboliche, mentre quelle con ageotype immunitario possono generare livelli più alti di markers infiammatori, o comunque diventare più inclini a sviluppare malattie immuno-correlate; contestualizzando queste informazioni al periodo di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, secondo queste ipotesi queste persone potrebbero essere più sensibili alle complicanze del SARS-CoV2. Conoscere a quale tipo di vecchiaia siamo predisposti permette di elaborare una strategia, anche nutrizionale, con cui prevenire o ritardare il più possibile alcuni specifici problemi di salute.
Non solo; gli scienziati di Stanford hanno anche dimostrato che, durante i 2 anni di osservazione, i partecipanti allo studio hanno evidenziato differenti cambiamenti dei marcatori “ageotype”, confermando quindi l’ipotesi secondo la quale non tutti invecchiano uniformemente. Per alcune persone che hanno modificato il loro stile di vita, in particolare in termini di dieta, i marcatori sono diminuiti: significa che hanno continuato ad invecchiare, ma ad un ritmo decisamente più lento.
Per rendere la ricerca più solida sono certamente necessari altri studi condotti su un campione più ampio di popolazione; i dati però inconfutabili, già noti peraltro a chi si occupa di nutrizione, confermano che è possibile rallentare alcuni meccanismi biologici, ed in senso epigenetico allungare il numero di anni di vita in salute.
Paolo Palmas
Naturopata Nutrizionista, Resp. Nutrigroup.