Ferro e dieta: sempre utile l’integrazione?

24 Agosto 2015 By Paolo Palmas
Il ferro è un oligoelemento fondamentale per la corretta funzionalità del sistema biologico umano, rappresentando elemento costitutivo essenziale dell’emoglobina, delle mioglobine e di tutti gli enzimi ferro-dipendenti; ne consegue che il trasporto di ossigeno ai tessuti ed il metabolismo di molti aminoacidi non potrebbero avvenire in assenza di ferro. Poiché in condizioni fisiologiche ne viene recuperata e riutilizzata una buona parte di quello assunto, e le perdite sono limitate, è sufficiente un minimo apporto con l’alimentazione.
Pallore, stanchezza e affaticamento, difficoltà di concentrazione, perdita di capelli, gengivorragie, irritabilità e mal di testa sono solo alcuni dei segni che potrebbero celare un deficit di ferro.
Il fabbisogno marziale quotidiano varia da circa 0,5 mg nell’infanzia a 2 mg nella donna in età fertile (con le mestruazioni ne viene persa una quota talora anche significativa), fino ai circa 4 mg raccomandati in gravidanza e durante l’allattamento. Dal momento che solo una piccola quota di quello introdotto con la dieta viene assorbito a livello intestinale, è naturale che l’apporto nutrizionale debba essere modulato in funzione di questi parametri; è altresì vero che, benché l’uomo abbia la capacità di depositare il ferro in eccesso, l’aumento fuori controllo dei livelli circolanti nell’organismo è potenzialmente dannoso, in quanto ossidandosi può formare radicali tossici e favorire nel tempo fenomeni degenerativi o deficit funzionali.
E’ bene precisare che l’assorbimento intestinale del ferro è influenzato negativamente da alcuni fattori come l’acloridria gastrica e l’abuso di alcol; inoltre, mentre la forma “eme” (quella che entra a far parte dell’emoglobina) è più facilmente assimilabile attraverso il consumo di carne e pesce, il ferro presente nelle fibre vegetali e nei cereali ha necessità di essere prima convertito in una forma assorbibile ed è inibito dalla presenza di fitati, fosfati e tannini. Per questa ragione si raccomanda ai soggetti anemici l’utilizzo di buone dosi di vitamina C (in grado di “sciogliere” i fitocomplessi formati, liberando così il ferro), oltre alla riduzione di tè (quello nero in particolare) e/o caffè in prossimità dei pasti, in quanto l’alta presenza di tannino ne ostacolerebbe l’assorbimento dal 40 al 65% circa.
Buone fonti alimentari di ferro sono le carni e le frattaglie, molti tipi di pesce, le uova, le lenticchie, gli asparagi, le noci e la frutta secca in guscio; scarso apporto invece fornisce il consumo di latte e derivati, e larga parte degli ortaggi non verdi. Utile precisare che, contrariamente a quanto si crede, gli spinaci sono ricchi del ferro non assimilabile, e quindi il loro consumo non apporta alcun vantaggio al metabolismo marziale.
Infine, nella donna in età fertile (soprattutto se in presenza di cicli mestruali abbondanti) o in gravidanza, nei bambini in crescita e in tutte quelle persone che hanno uno scarso assorbimento per la presenza di lesioni gastrointestinali, può avere un senso prendere in considerazione l’eventuale supplementazione; per quanto sopra evidenziato, in funzione dei possibili rischi legati ad un sovradosaggio, è però buona norma non improvvisarsi esperti del settore, e chiedere sempre un parere al consulente nutrizionale di fiducia o al proprio medico curante.
 
 
Paolo Palmas

Naturopata Nutrizionista, Resp. Nutrigroup